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Chi era Harry MacElhone, bartender leggendario

Harry MacElhone è un pezzo di storia della mixology. Se ti concedi una passeggiata a Parigi, lasciandoti alle spalle il giardino delle Tuileries e poi l’obelisco di Place Vendôme, a un certo punto incroci la stretta Rue Daunou. Al numero 5, dietro un piccolo ingresso, c’è il leggendario Harry’s New York Bar, che porta il nome di MacElhone.

Segno solo in parte tangibile dell’importanza di un uomo che ha attraversato due guerre mondiali, ha vissuto un po’ qua e un po’ là. Ma ha sempre trovato il modo di mettersi dietro il bancone e miscelare cocktail. Ne ha pure inventati alcuni destinati a restare nella storia.

Senza di lui non avremmo Bloody Mary, Boulevardier, Sidecar, White Lady, French 75 e Monkey Gland. Harry MacElhone è insomma uno che nella vita ha bevuto molto, ha fatto bere ancora di più e in questo modo è diventato una leggenda. Non capita a tutti.

Harry MacElhone, dalla Scozia con furore

Il nostro eroe nasce a Dundee, in Scozia, nel 1890. Infanzia e adolescenza sono un mistero: sappiamo che il padre gestiva un mulino, ma poco altro. La prima volta che emerge agli onori delle cronache è già impegnato dietro il bancone del New York Bar di Rue Daunou, a Parigi. Il locale di cui più tardi diventerà proprietario.

Prima dell’acquisto c’è tempo per fare esperienza al di là dell’oceano, presso l’Elton Hotel Bar di Waterbury (in Connecticut) e il Plaza Hotel di New York. Lo scoppio della prima guerra mondiale rappresenta una pausa forzata, come per moltissimi giovani dell’epoca: alcune fonti sostengono che Harry MacElhone abbia prestato servizio nell’aeronautica.

Alla fine del conflitto lo troviamo a Londra, presso il Ciro’s Club, dove diventa sufficientemente famoso da pubblicare il suo primo libro: Harry of Ciro’s ABC of Mixing Cocktails (1921). Poco dopo, l’occasione della vita: riesce a raccogliere i fondi sufficienti a diventare il proprietario del New York Bar, locale parigino in cui aveva lavorato oltre un decennio prima.

A febbraio del 1923 il posto cambia leggermente nome e rinasce come Harry’s New York Bar.

La gloriosa epoca dell’Harry’s New York Bar

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I ruggenti anni Venti trasformano il posto in una mecca. Con un minimo di fortuna era facile trovare fra gli avventori Francis Scott Fitzgerald e Gertrude Stein. Ovviamente non poteva mancare Ernest Hemingway, appassionato bevitore, e persino la star di Hollywood Humphrey Bogart vi ha trascorso memorabili serate alcoliche. Leggenda vuole che al pianoforte del bar George Gershwin abbia composto il poema sinfonico Un americano a Parigi (1928).

La fama è tale da traghettare l’Harry’s New York Bar nella letteratura: compare nel racconto di Ian Fleming Paesaggio e morte, in cui James Bond ricorda quando, a sedici anni, visitò per la prima volta Parigi, si fece portare da Harry e diede inizio “a una delle serate memorabili della sua vita, culminata nella perdita, quasi simultanea, della verginità e del suo portafogli“.

Dal canto suo, Harry MacElhone accoglieva tutti a braccia aperte e si dimostrava più che tollerante con le sbronze. E, nonostante la predilezione per i cocktail, non disdegnava organizzare competizioni a chi beveva più rapidamente due litri di birra.

È in questi anni che fonda l’International Bar Flies, club le cui regole capita di vedere scritte ancora oggi in alcuni speakeasy. Per esempio: “Chi, alle cinque del mattino, è ancora in grado di suonare l’ukulele, può beneficiare di un’iscrizione a vita“. Oppure: “Chi vede gatti color ciliegia con le orecchie viola dovrebbe tenerlo per sé“.

Nuova guerra, nuove avventure

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Un secondo locale, aperto da MacElhnoe nella cittadina di Le Touquet, conobbe minor fortuna e fu rivenduto entro la fine degli anni Trenta. Poi scoppiò la seconda guerra mondiale: quando le truppe naziste entrarono a Parigi, Harry stipò le sue preziose bottiglie in cantina, murò la porta e partì per Londra, dove iniziò a lavorare presso il Café de Paris. Quando una bomba tedesca distrusse il posto, si trasferì al London Ritz.

Morì nel 1958, circondato da un’aura leggendaria e avendo avviato il figlio Andrew all’arte della mixology: sarà lui a ereditare l’Harry’s New York Bar di Parigi, passando poi il testimone al nipote di Harry (Duncan) e, dopo la morte di quest’ultimo, alla vedova Isabelle.

I libri di Harry MacElhone

Il lascito culturale di questo notevole personaggio è composto anche da due libri. Il primo è il già citato Harry of Ciro’s ABC of Mixing Cocktails, conosciuto anche come Harry’s ABC of Mixing Cocktails epubblicato nel 1921. C’è chi sostiene che la prima uscita sia del 1919, ma è difficile fare chiarezza. Contiene una serie di ricette, corredate da informazioni storiche, e una prefazione nella quale MacElhone parla della formazione del personale e di come la motivazione e soddisfazione dei dipendenti sia cruciale per il successo di un bar.

L’altro testo di riferimento è Barflies and Cocktails (1927), anch’esso un libro di ricette: se ne contano trecento. Uno degli aspetti più peculiari è l’epilogo del volume, dedicato a un racconto ironico delle trovate più buffe di alcuni clienti.

È qui che compare la prima menzione del Boulevardier come un cocktail fatto con bourbon whiskey al posto del whisky canadese, come nella versione dell’Harry’s ABC of Mixing Cocktails (dov’era presente con un nome diverso). Sempre da queste righe emerge l’ipotesi che la nuova ricetta sia opera dello scrittore Erskine Gwynne.

Immagini courtesy Harry’s New York Bar