Uno, cento, mille Paloma: in Messico non esiste un unico cocktail che porta questo nome. Perché non è una ricetta, è uno stile di bevuta. Parola di Cristian Bugiada: grande esperto di distillati messicani, cofondatore del bar La Punta Expendio de Agave a Roma con Roberto Artusio e insieme a quest’ultimo coprotagonista della docuserie Los Dos Italianos Perdidos en México.
Il Paloma ha una ricetta…
Partiamo dalle basi. L’IBA ha stabilito che un Paloma si prepara con 50 millilitri di tequila (100% agave), 100 millilitri di soda al pompelmo rosa, 5 millilitri di succo di lime e un pizzico di sale. È la ricetta ufficiale di questo drink e serve come indicazione per i bartender che lavorano in giro nel mondo. In linea di massima: se un cliente ordina un Paloma ai quattro angoli del pianeta, è questa la miscela che si aspetta gli venga servita.
… ma non in Messico
In Messico il medesimo cliente trova qualcosa di simile, anche se spesso il sale è messo sul bordo del bicchiere e non viene mescolato insieme agli altri ingredienti. Ma è solo una delle molte varianti possibili.
Questo perché il Paloma ha una fortissima connotazione popolare. Dice Bugiada: «Non è uno di quei drink che sono nati in uno specifico bar, grazie a un determinato bartender e con una ricetta precisa. Non è per esempio la Batanga, creata da Don Javier Delgado Corona nel bar La Capilla della città di Tequila. La Paloma è un modo di diluire un distillato. Siccome siamo in Messico è quasi sempre tequila, o mezcal».
Ma non è obbligatorio che sia così. Da quelle parti «è uno dei drink più popolari proprio perché non ha una codifica standard, quindi si può riprodurre in casa con quel che c’è. Alcuni produttori un po’ campesinos ci hanno preparato una Paloma con 120 millilitri di raicilla e una spruzzatina di soda al pompelmo». Non una soda in particolare: quella che avevano tra le mani al momento.
Paloma: maschile o femminile?

Fra parentesi: Bugiada parla della Paloma, al femminile, «perché in Messico dicono così: facci una Paloma. Mentre in italiano puoi utilizzare il maschile perché è il cocktail Paloma». Vanno bene entrambe le soluzioni e «non vale la pena di interpellare l’Accademia della Crusca per un quesito di questa portata, che è veramente piccolo».
È tutta una questione di storia
Torniamo alle mille non-ricette del Paloma. Il punto centrale è che di questo cocktail non sappiamo quando e dove è nato, né per mano di chi. «Anche gente più preparata di me sulla storia dei cocktail non ha trovato risposte. David Wondrich, per esempio, ha scritto tantissimo su questo drink, ma non è riuscito a definire esattamente chi è il padre». Lo stesso Don Javier Delgado Corona, che è stato indicato come inventore del Paloma, «non si è preso meriti che non aveva e ha detto: non l’ho inventata io».
Ciò che sappiamo è che nel 1955 un’azienda statunitense introdusse una soda al pompelmo nel mercato messicano e la associò al Paloma per promuovere il suo prodotto. «E mi viene da pensare», sottolinea Bugiada, «che inizialmente la Paloma non fosse nemmeno fatta con la soda di pompelmo rosa, bensì con quella di pompelmo normale».
L’azienda in questione fece insomma leva su una “tipologia di bevuta” che era molto diffusa e propose la propria soda come scelta privilegiata per la diluizione dei distillati di agave. Senza indicare ricette precise, proprio perché la tradizione popolare messicana prevede una diluizione e nient’altro. Non il tipo di diluizione (più o meno forte), non la base alcolica da lavorare, né eventuali ingredienti aggiuntivi (per esempio il lime, che può esserci come no).
Largo dunque alla raicilla con giusto una spruzzata di soda, offerta a Bugiada dai “produttori un po’ campesinos” evocati qualche riga fa. E spazio pure al mezcal o, perché no?, a sotol e bacanora. Con un po’ di soda: quella che c’è e miscelata a discrezione dell’oste. E anche basta così.
Il bartender deve interpretare

Dunque c’è la ricetta IBA, pensata per la mixology internazionale e per un pubblico che si aspetta un certo standard sempre uguale. E poi c’è la tradizione messicana, che si permette una quantità potenzialmente infinita di variazioni perché il Paloma lo preparavano così quando forse nemmeno portava questo nome. «Il lavoro migliore che può fare il bartender», dice Bugiada, «è interpretare più che apprendere».
«Partiamo da più lontano e parliamo di Jerry Thomas e del suo Bon-Vivant’s Companion, che è uno dei libri più importanti della storia della miscelazione mondiale. Anche le ricette che sono scritte lì sopra sono interpretabili. Nel senso che i distillati non sono gli stessi, gli ingredienti sono cambiati nel corso degli anni eccetera eccetera. Quando Thomas parla di whisky è possibile che sia un whisky di quegli anni, di metà Ottocento, che magari aveva gradazioni piene. Quindi è il bartender che deve interpretare».
A maggior ragione di fronte al Paloma, che, ribadisce Cristian Bugiada, «è uno stile di bevuta più che una ricetta».
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