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Il throwing non è solo uno spettacolo da guardare al bancone

La tecnica del throwing ha origini non troppo antiche. Tornato a diffondersi nel settore della mixology grazie alla lungimiranza di un bartender di Barcellona, in realtà questo metodo non ha mai smesso di essere utilizzato in alcuni Paesi asiatici per raffreddare il tè. Oltre a essere spettacolare, la tecnica del throwing migliora la consistenza di alcuni drink.

Inizia lo spettacolo

Si pensa alla tecnica del throwing come a un modo per il bartender di dare spettacolo, di sfoggiare il suo talento e la padronanza che ha dietro al bancone. In effetti, vedere un liquido che cade a cascata da un tin all’altro, è davvero uno show anche se, nei fatti, la tecnica del throwing è molto di più.

Cosa significa throwing

Letteralmente significa lanciare in aria qualcosa, facendo forza sulle braccia. Nel circuito della mixology, però, la tecnica del throwing è riapparsa solo alla fine del XX secolo, recuperata (secondo il New York Times) da un bartender a Barcellona. Al contrario, non ha mai smesso di essere praticata nei Paesi asiatici, come rimedio per raffreddare il tè caldo.

Miscele volanti…e più consistenti

Avrete di sicuro incollato anche voi gli occhi al bancone nel momento in cui, il bartender del vostro locale preferito, si sarà dato a un momento di puro divertimento. Avrete visto la miscela letteralmente volare nell’aria e quasi “fare canestro” nel bicchiere in cui arrivava a destinazione.

È senz’altro spettacolare, ma prima di tutto è una pratica volta a migliorare la resa finale del drink. Più morbido e consistente, il cocktail per eccellenza preparato in modo così spettacolare è il Bloody Mary -perché, una volta lanciato, il succo di pomodoro ricrea delle bollicine d’aria al suo interno, rendendo il drink più setoso.

Anche con i cocktail caldi

Eppure, i bartender di oggi hanno voglia di sperimentare ancora e ancora, tentando di applicare la tecnica del throwing anche alle miscele calde, per esempio l’Hot Toddy, un po’ riprendendo le modalità di preparazione del cocktail a base whisky Blue Blazer che viene accesso e poi lanciato in aria per aggiustarne la consistenza.

Throwing: un po’ di storia

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Cosa e chi c’è alle origini della tecnica del throwing? Nel 1933 il bartender Miguel Boadas aprì il suo cocktail bar a Barcellona, Boadas Cocktails, e iniziò a praticare questa tecnica appresa in uno storico locale che tutti i mixology lover conoscono bene: El Floridita a L’Avana.

La diffusione della tecnica del throwing dalla Spagna sino all’America fu possibile proprio grazie a Miguel Boadas che nel 2006 si recò a New York facendo conoscere la tecnica ai due storici dei cocktail Anastasia Miller e Jared Brown. Entrambi, a loro volta, iniziarono a fare passaparola e in un certo senso a tramandare il throwing tra i bartender.

Chi shakera, chi miscela e chi lancia

La differenza rispetto alle tecniche di miscelazione che vanno per la maggiore come lo shake e stir & strain, sta, oltre che nell’evidente manualità, anche nel risultato finale ottenuto. È un self service di acqua e di aria, a seconda delle esigenze, che riguarda i bartender.

Se l’obiettivo è utilizzare molta più acqua e poca aria, gli ingredienti si vanno a miscelare all’interno di un mixing glass. Quando servono sia acqua sia aria in grandi quantità, si shakera con vigore. Infine, se c’è bisogno di molta più aria, la tecnica del throwing è senza dubbio l’ideale.

Che oltretutto, in America, è applicata alla preparazione di diversi drink, principalmente freddi, particolarmente insoliti: Appletini, El Presidente, Tuxedo. Insomma missione compiuta per il bartender spagnolo che voleva a tutti i costi far rivivere la tecnica del throwing portandola oltre i confini di Barcellona.

Adesso e per gli anni a venire, ci penseranno altri bartender (non solo americani) ad applicare la tecnica del throwing non solo a miscele inaspettate, ma anche quelle in linea con le tendenze mixology 2023.