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Il consumo di American Whiskey in Italia, i numeri e le tendenze

La ricerca di Coqtail Milano svela dati, potenziale e tendenze dell’American Whiskey, il distillato 100% americano che piace agli italiani sempre di più. Qui i risultati delle interviste a 14 esperti di settore e di un questionario sottoposto a 154 cocktail bar sul territorio nazionale.

Il momento d’oro dell’American Whiskey

La tendenza positiva dei Brown Spirits, il rilancio dei cocktail premium, la passione per l’arte della mixology e i grandi classici hanno portato a una crescita del mercato dell’American Whiskey. Non è un caso che per Drinks International l’American Whiskey sia arrivato a posizionarsi quale terzo distillato più consumato nei cocktail bar di tutto il mondo, oltre che primo della categoria. Per quanto riguarda l’Italia, la ricerca sul consumo di American Whiskey di Coqtail Milano ha potuto confermare questa crescita.

Coinvolgendo 14 esperti che sono stati intervistati one to one e avvalendosi del contributo di 154 bar distribuiti su 43 città tra nord, centro, sud Italia e isole, suddivisi in 4 categorie differenti Coqtail Milano, con il supporto di Campari Academy, ha definito l’andamento attuale e le previsioni future sul distillato 100% americano.

Che cosa pensano gli esperti dell’American Whiskey

In Italia il bourbon si sta riprendendo ed è in crescita costante. Da quando abbiamo aperto l’Antiquario il bourbon è sempre stato uno dei distillati più venduti”, spiega Alex Frezza socio de L’Antiquario di Napoli. Più ottimista è Antonio Parlapiano. “C’è stato un lungo periodo in cui l’American Whiskey non aveva una forte presa sul mercato italiano, distratto dal grande fascino nei confronti dei Whisky Single Malt. Oggi, in Italia, per il bourbon è un momento d’oro che possiamo dire che sia partito nel 2010”, spiega il socio del Jerry Thomas di Roma.

Dello stesso avviso Manuel Petretto, founder del locale fiorentino LoveCraft, specializzato in whiskey. “Quando ho aperto il primo whiskey bar di Firenze, quattro anni fa, nessuno avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza perché di whiskey in miscelazione si parlava pochissimo. In generale era visto come un distillato eccessivamente forte o solo per intenditori, con un alone quasi elitario. Così ci siamo impegnati tanto nella comunicazione del prodotto e questo, per lo meno nel contesto fiorentino, ha sdoganato e svecchiato l’immagine del whiskey”, racconta.

Le persone hanno cominciato a capire che l’American Whiskey ha molta potenzialità nei cocktail. I più esperti sanno che i whiskey cocktail sono la forma più antica di miscelazione, vedi l’Old Fashioned, ma il cliente medio questo non lo sapeva. Mancava un po’ di questo aspetto pop e, grazie all’apertura di luoghi specializzati come il LoveCraft, fondamentalmente uno street bar, oltre agli investimenti da parte delle aziende su eventi, masterclass e sponsorizzazioni, l’American Whiskey è entrato a far parte della cultura popolare”, dice Petretto.

La scelta del premium

Dalla ricerca si evince che i consumatori, negli ultimi tre anni, hanno affinato il gusto per prodotti di qualità a prezzi accessibili comprendendo che un ottimo bourbon o rye si adatta perfettamente alla miscelazione.

Se guardo ai nostri consumi di bourbon e rye il futuro dell’American Whiskey è più che roseo. In 5 anni c’è stato un cambiamento esagerato del cliente sia in consapevolezza che in capacità di apprezzamento. La poca importanza data al prezzo, ha fatto accedere a prodotti di qualità che portano a una crescita di prodotti sempre più premium”, dice Giuseppe Pisaniello ex Bar Manager del The Lodge di Napoli.

In accordo con Pisaniello anche Daniele Cancellara, Bar Manager del Rasputin di Firenze. “Stiamo andando verso la premiumizzazione sempre più spinta. La clientela preferisce spendere un po’ di più pur di avere un prodotto di qualità alta, anzi ‘diverso’. Gli American Whiskey che vengono più richiesti sono prodotti più complessi e ricercati”. Ma il consumatore viene influenzato da fattori emozionali. La scelta di sorseggiare in un cocktail uno spirits di fascia alta, come può essere un bourbon o un rye premium, diventa uno status e consente allo stesso cliente di distinguersi socialmente, oltre che caricare l’esperienza di quella bevuta di significati simbolici.

Se la direzione è quella che porta a prodotti sempre più di fascia alta, la differenziazione dell’invecchiamento potrebbe funzionare come è stato per il whisky scozzese”, dice Franco Tucci Ponti, bar manager del Veloce Bar di Milano, locale all’interno dello storico palazzo del Touring Club dove ha sede il Radisson Collection Hotel.

I numeri del bourbon in Italia

Secondo i risultati di un questionario sottoposto ai 154 cocktail bar, la media italiana delle referenze di bourbon nei locali si attesta intorno a 10 bottiglie. Questo secondo il 74,6% degli intervistati tra bartender, bar manager e proprietari.

Il 14,2% dei bar invece possiede tra 11 e 20 etichette del distillato e il 6,4 ne ha tra 21 e 30. Man mano che le bottigliere crescono, fino a oltre 51 marche diverse, i locali diminuiscono (5%) e aumenta la specializzazione nell’American Whiskey.

Dato fondamentale rilevato è che tutti i 154 cocktail bar interpellati hanno dichiarato di avere bottiglie di bourbon e rye, confermando che la presenza del distillato americano nei cocktail bar italiani è del 100%. “Il consumatore medio è interessato al bourbon ma, se non è appassionatissimo, in generale non ne ha una grande conoscenza. È ancora molto indietro dal punto di vista della scoperta da parte del cliente. Molti hanno come riferimento il bourbon, pochi conoscono il rye” conclude Antonio Lugli di Dream House di Milano.

I numeri del rye whiskey

Se per il consumatore il rye whiskey è ancora sconosciuto, la ricerca di Coqtail Milano sottolinea che i cocktail bar ci credono e le bottigliere dei locali italiani non ne sono sfornite. Il prodotto è in crescita, seppur questa sia lenta e ancora lontana da rilevanti volumi di consumo.

Rispetto al bourbon, i dati relativi alle bottiglie possedute di rye risultano inferiori (circa la metà), ma almeno il 63% degli intervistati rivela che ne possiede tra 5 e 10 referenze. La media italiana si attesta così intorno a 5 bottiglie per locale, con almeno una referenza per bar presente sul territorio.

La richiesta del rye è in crescita. È una questione di mercato. Una volta praticamente non c’era e non si riusciva a importare. I barman si erano abituati a fare il Manhattan con il Canadian Club, unico whiskey con una percentuale di segale superiore al 51%. Nel momento in cui gli importatori hanno iniziato ad ampliare il numero delle loro referenze, il rye ha preso quota collocandosi sempre di più. Oggi si è alzato il livello medio e il mercato della produzione è cresciuto”, spiega Edoardo Nono del Rita & Cocktails di Milano.

I numeri testimoniano il ritorno in grande stile. “Una volta contavi i rye sul palmo di una mano, mentre adesso di etichette ce ne sono veramente tante. Il mercato sta spingendo tanto sul rye anche per la carenza di esportazioni di bourbon in generale. Purtroppo, ci sono tante referenze che non arrivano più”, rivela Umberto Oliva del Bella Bistrot di Milano.

Perché l’American Whiskey piace

La versatilità in miscelazione e la buona comunicazione del racconto della storia e dei valori di un brand sono tutti elementi che danno un senso di affidabilità. Sia per chi acquista quell’American Whiskey per il proprio locale, sia per il consumatore che lo ordina.

Inoltre, la trasparenza e la coerenza del prodotto contribuiscono al suo gradimento. Soprattutto per quanto riguarda il bourbon, la morbidezza e la texture, la setosità e l’aroma sono le carte vincenti di un distillato che può attirare di più il cliente. Inoltre, un American Whiskey può dirsi “appetibile” quando si parla di ottimo rapporto qualità-prezzo.

L’ospite internazionale, più di quello italiano, chiede ed è curioso. Il nostro pubblico, in questo momento, è caratterizzato dagli indiani che amano sedersi al bancone, fare domande e scegliere tra le migliori marche. In generale nell’ultimo periodo ho notato che la clientela è molto propensa nel bere miscelato con base whiskey. Prima lo assaggia liscio e poi il whiskey scelto viene richiesto nel cocktail. Se potessi fare un paragone con un altro distillato confronterei questo periodo del whiskey a quello dell’inizio della Golden Age del gin”, sostiene Antonio Ferrara, Bar Manager del The Bar, all’Aman di Venezia. 

Ogni momento è buono per un ottimo American Whiskey

Dalle interviste di Coqtail Milano emerge come l’American Whiskey sia un distillato che viene richiesto e consumato in qualsiasi momento dell’anno, soprattutto se si parla di cocktail classici. “Non posso dire che ci sia una stagionalità precisa nei cocktail. Chi beve Old Fashioned lo beve sempre, poi adesso è di tendenza. Il Whiskey Sour va sempre, ma è un po’ più specifico ed è più difficile da fare rispetto a un Old Fashioned”, spiega Edoardo Nono del Rita & Cocktails di Milano.

Della stessa idea anche Antonio Lugli di Dream House: “Secondo me non c’è troppa differenza, magari d’estate può funzionare di più un Kentucky Mule fatto con bourbon, succo di lime e ginger beer oppure un Julep perché ha la menta. Mentre d’inverno si va verso il Manhattan o drink che hanno più calore e gusto, però in generale non c’è un grande gap di stagionalità”.

Avvicinarsi alla bevuta di American Whiskey, quale cocktail?

Ma qual è il miglior cocktail per avvicinarsi alla bevuta miscelata di American Whiskey? Gli esperti rispondono. “Dipende dal palato, giocherei sull’Old Fashioned e il Whiskey Sour perché sono due drink dove il distillato la fa da padrone e giocando con il bilanciamento si può osare molto”, sostiene Cesar Araujo, Bar Manager di Bob Milano. “Per me è un buon inizio partire dall’Old Fashioned per poi degustare il whiskey anche in purezza. Se invece dobbiamo puntare subito sui cocktail, consiglierei il Whiskey Sour che è quello più semplice, oppure un Rye Whiskey Sour perché per cominciare funziona benissimo. Magari con lo zucchero al posto del miele”, spiega Antonio Lugli. “Old Fashioned, Manhattan e Whiskey Sour sono in assoluto i più indicati”, dice Manuel Petretto.

Anche Patrick Pistolesi non ha dubbi: “Siamo molto famosi per il nostro Old Fashioned che ci viene richiesto durante tutta la stagione invernale. D’estate facciamo tantissimi Whiskey Sour che ci fanno arrivare a consumare circa 200 bottiglie al mese tra bourbon e rye. Storicamente il bourbon è un distillato da ogni stagione, che nasce in Kentucky, un luogo notoriamente molto caldo. Da qui provengono il Whiskey Sour e il Mint julep, due drink che infrescano e vengono richiesti dai vecchi magnati del cotone. Infatti, sono delle bevande che storicamente sono bevute nei luoghi caldi. L’Old Fashioned invece, essendo più meditativo e più ricco, è l’ideale per un clima più freddo”, spiega il proprietario del Drink Kong di Roma.

Perché il Bourbon vince nell’Old Fashioned

L’Old Fashioned prende una grande fetta dei whiskey cocktail”. A sostenerlo non è soltanto Michele Ferruccio, consulente ed ex Bar Manager di Three Folk’s Public House a Roma, ma i numeri della ricerca di Coqtail Milano. I dati non mentono: l’Old Fashioned è uno dei cocktail più richiesti, secondo nel mondo per Drinks International.

Secondo le risposte del questionario, il 67% dei clienti che ordinano Old Fashioned ha tra 26 e i 35 anni. Il 29% possiede tra i 36 e i 45 anni, il 3% tra i 18 e i 25 anni e soltanto l’1% è maggiore di 46 anni. L’Old Fashioned viene richiesto soprattutto la sera. Il 64% degli intervistati lo serve come after dinner oppure dopo le ore 23 (28%). Il 7% dei clienti lo ordina come aperitivo e solo l’1% durante i pasti.

Viste le richieste, preparare diversi Old Fashioned alla volta può rallentare il servizio e allora ci sono bartender che trovano delle strategie di successo. “L’Old Fashioned lo facciamo in un tempo solo, ovvero con lo sciroppo di Old Fashioned che prepariamo prima e ci facilita sulla velocità”, confessa Cesar Araujo, Bar Manager del Bob Milano.

Intramontabili Sour

Scelto tra i cocktail più bevuti al mondo, secondo Drinks International il Whiskey Sour si piazza al decimo posto. Gli italiani amano berlo on the rocks, per il 74% degli esperti e in coppetta, per il restante 22% degli intervistati.

Inoltre, dai risultati della ricerca di Coqtail Milano si evince che senza dubbio il Whiskey Sour sia un cocktail “giovane”. Gli estimatori, infatti, hanno tra i 26 e i 35 anni (secondo l’81% dei bartender), tra i 36 e 45 anni (secondo l’11%) e tra i 18 e i 25 (secondo il 7%). Anche l’orario di bevuta è interessante.

Per il 64% degli intervistati il Whiskey Sour viene richiesto soprattutto nell’after dinner. Il 22% dei clienti lo consuma in tarda serata (dalle 23 in avanti), il 13% durante l’aperitivo, soltanto l’1% lo beve pasteggiando.

Il successo dei Sour

Il Whiskey Sour è l’approccio più semplice al mondo dei cocktail. “È un po’ come il fritto, è sempre buono”, sostiene Manuel Petretto. “Il bourbon, più di altri distillati, si lega benissimo a questo tipo di preparazione per la sua morbidezza e rotondità”, dice Franco Tucci Ponti. E il Whiskey Sour, come tutte le sue varianti, ha successo.

“Lion’s Tail e New York Sour sono cocktail su cui ho scommesso qualche anno fa e a cui credo ancora. Mi aspetto che la tendenza porti verso delle varianti nuove perché il Whiskey Sour è un cocktail fresco molto versatile che piace tanto a chi si accosta per la prima volta al whiskey, ma anche a chi lo apprezza da tempo e vuole bere qualcosa di facile. Inoltre, si abbina bene a qualsiasi tipo di piatto, ovviamente in linea con il gusto del whiskey come per esempio il BBQ”, afferma Alex Frezza.

Tra le varianti più richieste c’è il New York Sour. “In questo momento è il sour che va per la maggiore e ritengo possa diventare davvero di tendenza, anche da parte di chi non ha mai bevuto whiskey”, conferma Oliva, il bar manager di Bella Bistrot Milano.

La rivincita degli Highball

Gli highball, facili anche da bere, sono tra i long drink più freschi e leggeri, realizzati con una base alcolica e una bevanda gasata. Per chi si avvicina all’american whiskey per la prima volta sono l’ideale, quanto per un locale che intende puntare su grandi volumi e alto gradimento. Negli ultimi anni il rye e il bourbon sono stati sempre più miscelati negli Highball, una categoria che prende campo nelle drink list dei migliori cocktail bar italiani, dirigendo le abitudini dei consumatori verso questa tipologia di drink più beverina e semplice da comprendere.

Nonostante ci siano ancora dei bar che non li hanno in carta (21%) perché li trovano poco interessanti (26%) o addirittura inutili (6%), c’è un buon 47% che serve gli Highball ai propri clienti. “Accostando gli American Whiskey a queste categorie di cocktail i consumi sono andati ad aumentare“, dice Vincenzo Pagliara, Co-Founder di Laboratorio Folkloristico a Pomigliano d’Arco (NA).

Il motivo è semplice gli Highball sono mediamente poco alcolici, si aggirano intorno al 20%, presentano molto ghiaccio, un solo distillato e di solito bollicine (come ginger beer, soda, eccetera) che li rendono molto rinfrescanti e facili da degustare anche per palati poco allenati all’American Whiskey. “Le persone per stare più tempo all’interno del locale preferiscono bere tre drink a bassa gradazione alcolica, come gli Highball, piuttosto che uno o due strong cocktail o una/due bevute lisce”, continua Pagliara.

Ma che si preferisca un Old Fashioned, un Whiskey Sour o un Whiskey&Soda il risultato della ricerca di Coqtail Milano e Campari Academy porta a un risultato soltanto. L’American Whiskey piace sempre di più e, quale icona tra i distillati storici, si riprende il mercato e la posizione che si merita in bottigliera.

Gli esperti intervistati da Coqtail Milano

Quindici tra proprietari, bar manager e bartender sono stati intervistati quali opinion leader del settore e protagonisti dell’evoluzione del consumo dell’american whiskey.

  • Cesar Araujo, Bar Manager BOB Isola, Milano,
  • Daniele Cancellara, Bar Manager Rasputin, Firenze,
  • Michele Ferruccio, Consulente Beverage, ex Bar Manager Three Folk’s, Roma,
  • Antonio Ferrara, Bar Manager, The Bar @ AMAN, Venezia,
  • Alex Frezza, Owner & Bar Manager, L’Antiquario, Napoli,
  • Antonio Lugli, Bar Manager Dream House (by Dream Whisky), Milano,
  • Edoardo Nono, Owner Rita & Cocktails, Milano,
  • Umberto Oliva, Bar Manager Bella Bistrot, Milano,
  • Vincenzo Pagliara, Co-Founder Laboratorio Folkloristico, Pomigliano d’Arco (NA),
  • Antonio Parlapiano, Co-Founder Jerry Thomas Speakeasy, Roma,
  • Manuel Petretto, Owner LoveCraft, Firenze,
  • Giuseppe Pisaniello, ex Bar Manager The Lodge, Napoli,
  • Patrick Pistolesi, Owner Drink Kong, Roma,
  • Franco Tucci Ponti, Bar Manager Il Veloce, Milano

I 154 locali coinvolti nella ricerca

  • 10 corso Como
  • 1000 Misture
  • Achilli Settembrini
  • Acquaroof Terrazza Molinari
  • Affinity Cafè
  • Alchemia Bar – Small Luxury Hotel Cà di Dio Venice
  • Alkymya bellini
  • Alphonse Club
  • Archivio Storico
  • Armani/Bamboo Bar
  • ARS Milano
  • Atrium Bar Four Seasons Firenze
  • Attila
  • Bar Cavour
  • Bar Stilla Four Seasons Milano
  • Barcollo Siracusa
  • Barrel Fish Bar
  • Bella Milano Bistrot
  • Bellagio Point
  • Big Easy Cocktail House
  • Bioesserì Milano Porta Nuova
  • Blue Bar
  • BOB Milano Caffè degli Artisti
  • Caffè Florian
  • Canteen Milano
  • Capri Rooftop
  • Caravella cafè & spirits
  • Carico
  • Carmè Restaurant
  • Casa Minghetti
  • Cavò lieviti & distillati
  • Ceresio7
  • Chiostro Bar at San Domenico Palace a Four Seasons Hotel
  • Clèa Milano
  • Cloakroom Cocktail Lab
  • Dabass, Dandelion
  • De Bardi
  • Ditta Artigianale
  • DNA Cocktail Room
  • Drinc.Different
  • Drinc.Milano
  • Drink Kong
  • El Porteño
  • Estremadura Cafè
  • Experimental Cocktail Club

F – M

  • Fab
  • Franklin 33
  • Fred Milano
  • Freni e Frizioni
  • Funi 1898
  • FuoriMano
  • Gesto fai il tuo
  • Hala Kahiki
  • Hostaria in Certosa
  • Il Sal8 Bar Agricolo
  • Iter
  • Jeffer cocktails & friends
  • Jerry Thomas
  • Jibo’s, Katiuscia
  • Katiuscia cocktail e altri rimedi
  • La Biglietteria
  • La Bodega
  • La Bottega del Folle
  • La Fesseria
  • La Ménagère
  • La Piazzetta cocktail bar – alchemic lab
  • Laboratorio Alchemico
  • Laboratorio Folkloristico
  • Laltrolato,
  • L’Antiquario
  • Laurus Cocktail Experience
  • Le Biciclette
  • Lefty
  • Les Rouges
  • Locale Firenze
  • LoveCraft
  • Lumen Cocktails & Cousine
  • MAG i Navigli
  • MAG La Pusterla
  • Magnolia
  • Malea Cocktail Bar
  • Mandarin Oriental Lago di Como
  • Metropolita
  • Milord Milano
  • Moebius
  • Morgana Lounge Bar
  • Morgante
  • Mosley Spirits e more
  • MU Fish

N-R

  • Nené Food
  • NEO Mediterraneo Vibes
  • NH Collection Milano City Life
  • Noblesse Cocktail Bar
  • Noh Samba
  • Norah Was Drunk
  • Nu Lounge Bar
  • Octavius Bar @The Stage Milano
  • Officina Milano
  • Out of
  • Palazzina Grassi
  • Pandenus
  • PanicAle
  • Paradis Pietrasanta
  • Parentesi Concept Bar
  • Paszkowski
  • Portico 4 Cafè & Lounge bar
  • Pout Pourry
  • Prohibition
  • Quanto Basta
  • Raboucer
  • Radici
  • Rame
  • Rame-riso e miscelazione
  • Rasputin
  • REM
  • Rita&Cocktails

S-Y

  • Salotto Negroni 1919
  • Salotto Stadlin
  • Santeria
  • SETA Garden Bar
  • Simbiosi – tra bere e mangiare
  • Sixiéme Bistro
  • Sketch
  • Sottospirito
  • Sottovoce Speakeasy
  • Spirits Boutique Cagliari
  • Spirits Boutique Olbia
  • St.Regis Bar – St. Regis Venice
  • Surfer’s Garden
  • Terrazza Gallia
  • The Bar @ Aman Venice
  • The Barbershop Speakeasy
  • The Botanical Club
  • The Craftsman
  • The Doping Club
  • The Lodge
  • The Lounge Bar
  • The Old School Bar
  • The Spirit
  • The Wanderer – Aged Spirit cocktail Bar
  • Time Social Bar
  • Twenties Cocktail Club
  • UGO cocktail bar
  • Veloce Milano
  • Wisdomless Club
  • Yapa
  • Yspanico