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Umeshu, liquore tradizionale del Giappone

Umeshu, tutto quello che c’è da sapere sul liquore tradizionale del Giappone

Da tradizione di famiglia a trend emergente, l’umeshu ne ha fatta di strada. È uno degli alcolici più rappresentativi del Giappone, ha una storia secolare ed è perfetto per coloro che vogliono scoprire qualcosa di nuovo dopo avere già gustato il sake e lo shochu.

Che cos’è l’umeshu

L’umeshu è un liquore ottenuto a partire da un tipo particolare di frutto giapponese chiamato ume (una via di mezzo fra la prugna e l’albicocca). La varietà utilizzata più frequentemente è coltivata nella prefettura montuosa di Wakayama ed è da questo territorio che proviene la qualità più pregiata: il nankou ume. L’ume è colto dagli alberi quando ancora acerbo e viene macerato in una miscela di alcol e zucchero. Il più delle volte è zucchero di canna, talvolta miele. L’alcol è spesso uno shochu, ma non è raro che sia del sake.

Il risultato finale della lavorazione ha un sapore dolce e insieme leggermente aspro, con un contenuto di alcol relativamente ridotto: fra gli otto e i quindici gradi. Soprattutto quando è giovane, l’umeshu può avere una consistenza sciropposa che poi tende a smorzarsi.

Brevissima storia del liquore

Le fonti avvalorano l’ipotesi che l’umeshu sia nato negli stessi anni in cui il Giappone iniziò a produrre lo shochu. Dunque nel tardo XVII secolo. Del resto, senza l’uno non è dato l’altro e quindi una vicinanza temporale è logica. Nella prima fase della sua storia l’umeshu era realizzato all’interno di ogni famiglia, con ricette tutte diverse eccezion fatta per gli inevitabili elementi in comune: ume, zucchero e alcol. A secoli di distanza alcune cose sono cambiate, e per esempio esiste una produzione industriale, ma ciò non ha fatto perdere all’umeshu il suo tratto tradizionale e genuino.

Come si produce

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Per fare un umeshu serve l’ume, e fin qui ok. Seguono minimo sei mesi di macerazione in alcol e zucchero. Questa fase avviene all’interno di contenitori sterilizzati e neutri (per esempio vetro) che devono essere conservati al riparo dalla luce e in un ambiente fresco. Gli esperti sostengono che arrivando a nove mesi di infusione il risultato è ottimale. Al momento opportuno il liquido può essere imbottigliato. In questa fase è possibile mettere uno o più ume all’interno della bottiglia: decisione lasciata all’estro di chi l’ha preparato e che non influenza in maniera significativa il gusto.

L’umeshu non è un vino

Vale la pena di sottolineare che la lavorazione prevede una fase di macerazione, ma nessuna fermentazione. Quindi il termine “vino di prugna” è improprio, per quanto comune al di fuori del Giappone per indicare questo tipo di prodotto. Senza fermentazione, infatti, non si può parlare di vino. L’umeshu è a tutti gli effetti un liquore.

Umeshu senza ume?

È importante far notare che la popolarità crescente dell’umeshu ha prodotto un analogo aumento delle bottiglie e dei marchi sul mercato. Solo che il numero di ume a disposizione è rimasto sostanzialmente inalterato. Questa incongruenza si spiega con il fatto che è possibile chiamare umeshu un liquore ottenuto senza l’ume e confezionato esclusivamente con aromi artificiali che richiamano il sapore del frutto. Coloro che intendessero assaggiare un liquore tradizionale dovranno cercare sull’etichetta la dicitura honkaku umeshu, termine che certifica la presenza, nella ricetta, di prugne giapponesi acerbe.

Come si beve l’umeshu

L’umeshu, all’inizio della sua storia, era un prodotto casalingo. Era semplice da preparare e ogni famiglia si faceva il suo. Il trascorrere dei secoli non ha scalfito questa usanza e ancora oggi l’umeshu è il liquore domestico più diffuso nelle abitazioni giapponesi. Di solito viene fatto una volta l’anno, quando la maturazione delle prugne è al punto ideale, ed è bevuto per celebrare un’occasione importante, o quanto meno fuori dalla norma. È servito liscio e a temperatura ambiente, oppure è raffreddato con del ghiaccio.

L’umeshu è infatti molto versatile e condivide con altri alcolici giapponesi la possibilità di essere degustato in modi diversi. Il calore tende a fare emergere la ricchezza organolettica, mentre il freddo esalta l’acidità rinfrescante: la scelta fra l’una e l’altra cosa (o tra le varie sfumature che separano gli estremi) è una questione di gusti personali.

Umeshu, come si usa in mixology

La scelta della temperatura di servizio va a braccetto con un atteggiamento sperimentale: così anche nella sua versione casalinga l’umeshu può essere miscelato con acqua tonica, soda o succhi di frutta. Il che porta dritti verso la miscelazione. In pieno stile giapponese, può essere preparato seguendo la tendenza ochawari: quella cioè che mescola il tè locale con una varietà di alcolici. In questo caso il tè d’elezione è spesso quello verde, e la temperatura di servizio dipende dalla stagione: caldo d’inverno, freddo d’estate.

Un’ulteriore declinazione dell’umeshu è nei cocktail sour, con dolcificante e succo di limone o di lime: bisogna però fare attenzione al bilanciamento degli ingredienti, per evitare che l’acidità o la dolcezza prendano il sopravvento. Con le giuste accortezze, il profilo organolettico dell’umeshu può dialogare con quasi ogni cosa. Per esempio con il tequila, in un twist del Paloma, oppure con il gin dando un tocco orientale al classico Gin&Tonic grazie a un’aggiunta di umeshu, o magari sostituendo del tutto il gin con il liquore giapponese.

E se il bartender ha una marcia in più, allora può mescolarlo con rum, scotch e liquore alla banana. È uno dei signature di Christian Suzuki dalle origini giapponesi, radici a San Francisco, desideroso di utilizzare il suo drink (si chiama Kagano) come “lettera d’amore al mio retaggio e alla mia famiglia”.