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Il whisky giapponese, produzione, caratteristiche e disciplinare

Il whisky giapponese nasce dalla “cooperazione tra la benedizione della natura e la saggezza dell’uomo”. Parola di Masataka Taketsuru (1894-1979), padre nobile dei distillati del Sol Levante. Che però, preso dall’afflato poetico, non ha tenuto conto di un fattore più prosaico: la necessità di un disciplinare per garantire la qualità del prodotto.

Una mancanza alla quale ha recentemente posto rimedio la Japan Spirits and Liqueurs Makers Association: la legge è entrata in vigore l’1 aprile 2021 e ai produttori è stato dato tempo fino al 31 marzo 2024 per adeguarvisi.

Cos’è il whisky giapponese

Come tutti i whisky, anche quello giapponese è un distillato ottenuto dalla fermentazione di cereali, dalla successiva distillazione e da un periodo di invecchiamento trascorso all’interno di botti. In base alle regole adottate nel 2021, ogni passaggio deve necessariamente avvenire in Giappone. Parliamo di fermentazione, distillazione, affinamento e imbottigliamento.

La distillazione può essere discontinua o continua. In quest’ultimo caso si trova spesso in etichetta il termine “coffey“, dal nome dell’inventore dell’alambicco a colonna: l’irlandese Aeneas Coffey. L’invecchiamento dura minimo tre anni e avviene in botti di legno di non oltre 700 litri (qualunque tipo di legno è concesso). Prima dell’imbottigliamento è permessa l’aggiunta di acqua, purché la gradazione alcolica non scenda sotto i 40 gradi.

L’acqua utilizzata deve provenire dal territorio giapponese. Stessa cosa dicasi per i cereali. Con un’indicazione aggiuntiva: è sempre obbligatoria la presenza di grani maltati. Come avviene anche nel caso dei whisky scozzesi, è consentito l’uso di colorante al caramello: arrotonda il sapore e scurisce il distillato.

L’esempio scozzese

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Masataka Taketsuru ha “inventato” il whisky giapponese prendendo ad esempio quello di Scozia. La produzione storica ne ha dunque conservato alcune caratteristiche, confermate indirettamente dal disciplinare della Japan Spirits and Liqueurs Makers Association.

Di conseguenza alcuni termini sono simili, ma non troppo:

  • un single malt è un whisky prodotto solo con orzo maltato
  • un blended nasce della miscela di più cereali
  • cask strenght e cask proof indicano che non c’è stata diluizione con acqua e la gradazione alcolica è quella che era presente in botte (di solito intorno al 56-64% in volume)
  • la dicitura from the barrel si riferisce a un blended che, dopo la miscelazione, trascorre alcuni mesi in botti ex bourbon

Come si degusta il whisky giapponese

L’estrema ricchezza organolettica dei whisky giapponesi chiama una degustazione con tutti i crismi. Innanzitutto il bicchiere: deve avere una bocca ampia, che favorisca il passaggio degli aromi. Niente balloon, dunque.

Si beve liscio e a temperatura ambiente, accompagnato da un bicchiere d’acqua fresca (non ghiacciata). L’optimum è recuperare la medesima acqua utilizzata per la diluizione, ma va da sé che nella stragrande maggioranza dei casi non è possibile e ci tocca accontentarci.

Infine, annusata e bevuta devono avvenire a dosi medio-piccole. Siccome l’alcol tende a sovraccaricare naso e bocca, è bene alternare alcune sorsate d’acqua, così da “ripulire” i sensi.

L’iniziativa della Japan Spirits and Liqueurs Makers Association

Tutto ciò detto, vale la pena di soffermarsi brevemente sul disciplinare voluto dalla Japan Spirits and Liqueurs Makers Association. Prima del 2021, gli esperti sapevano bene che non tutti i whisky etichettati come “giapponesi” erano al 100% di origine nipponica. Era pratica comune che fosse importato whisky da altre nazioni (Scozia e Canada in primis) per realizzare blend che poi venivano immessi sul mercato come prodotti giapponesi.

Non era illegale e serviva a venire incontro alla crescente richiesta di distillati dal Sol Levante. Però si trattava di una pratica parecchio al limite, che rischiava di mettere i bastoni tra le ruote dei distillatori pienamente giapponesi. C’era anche il rischio che, a lungo andare, si rovinasse la fama dei whisky nipponici come prodotto di altissima qualità.

Da qui l’introduzione di una protezione simile a quella dei bourbon o degli scotch, che salvaguarda i prodotti interamente realizzati all’interno del Giappone.