Il nigori (o nigorizake) è un tipo di sake che in Italia è praticamente sconosciuto. La particolarità è che non viene finemente filtrato e dunque è più denso e opaco rispetto ai sake famosi.
Nigori, che cos’è?
Se dunque il nigori è un sake, allora è una bevanda alcolica ottenuta grazie a un processo di fermentazione dell’amido di riso. Molte tappe della lavorazione sono uguali in entrambi i casi. Si parte da un tipo preciso di cereale, il sakamai: i chicchi vengono prima levigati, poi lavati e lasciati in ammollo. Seguono cottura al vapore, fermentazione, pressatura, filtraggio, talvolta pastorizzazione, infine aggiunta di acqua e alcol per regolare il volume alcolico.
Filtraggio sì, ma non troppo
Facciamo un passo indietro: terminata la fermentazione il sake presenta piccoli residui solidi, che vengono eliminati dal filtraggio. Questo processo avviene anche per il nigori, con la differenza che i filtri hanno maglie più larghe e quindi le particelle di riso fini riescono a passare. Ciò influisce sulla densità e la trasparenza del prodotto finale.
Uno, cento, mille nigori
La dimensione delle maglie non è stabilita a priori e ogni produttore può adottare quella che preferisce. Ecco perché in Giappone si trovano nigori appena torbidi e nigori impenetrabili alla vista (e sensibilmente più densi). Varia inoltre la gradazione alcolica. In linea di massima è compresa fra i 12 e i 17 ABV, ma se ne possono trovare di più leggeri (attorno ai 10 ABV) e di più forti (20 ABV). Un nigori può essere effervescente: succede se non viene pastorizzato e quindi la fermentazione continua all’interno della bottiglia.
Anche il profilo organolettico cambia: alcuni prodotti hanno un’acidità spiccata, altri una morbidezza pronunciata, altri ancora fanno della secchezza la loro caratteristica principale. Ci sono quelli floreali e quelli fruttati, e ci sono infinite mescolanze di tutti questi elementi. Infine, vale la pena sottolineare che il nigori è apprezzato per le sue qualità rustiche, immediatamente testimoniate dai residui presenti nella bottiglia. Questo fa sì che il grado di levigatura del chicco di riso sia generalmente poco accentuato. Dunque che il seimai buai non sia particolarmente basso.
Una storia antica
Secondo gli storici il nigori esiste da secoli. Quanti non si sa, e del resto pure la nascita del sake non ha una data precisa. Ci si può fare un’idea tenendo conto che il metodo per ottenere alcol dal riso giunge in Giappone, dalla Cina, intorno al 500 a.C. Nel corso di tutti quegli anni il nigori era molto probabilmente prodotto dai contadini a uso famigliare. Poi ecco il periodo Meiji (1868-1912), quando l’imperatore Mutsuhito lo dichiara illegale e in questo modo ne causa la scomparsa nel paese.
Il ritorno in auge avviene a metà degli anni Settanta del XX secolo, dopo lunghe e pazienti pressioni sul governo giapponese affinché modificasse il disciplinare del sake e consentisse l’adozione di filtri a maglie larghe. Il successo dell’azione di lobbying permise di recuperare ricette secolari, mai andate completamente perdute, e di ampliare l’offerta sul mercato.
Il nigori nei cocktail

Vale per il nigori lo stesso principio del sake: si può bere liscio, meglio se freddo. Ovviamente può essere l’ingrediente di un cocktail e la grande varietà dei sapori e delle consistenze consegna ai bartender un numero pressoché infinito di combinazioni. È però vero che molti nigori hanno una nota dolce, quindi si trovano spesso in abbinamento a vermouth bianco, gin, succhi di agrumi o di pesca. Sono inoltre l’ideale per contenere la gradazione alcolicadi un drink e venire incontro al trend dei low alcol.
Un accorgimento comune è di agitare la bottiglia prima di utilizzarne il contenuto, allo scopo di mescolare i residui solidi e rendere omogeneo il liquido. Non è però obbligatorio. Anzi, con esperienza e abilità è possibile fare diversamente.
Lo testimonia il giapponese Gen Yamamoto, che nel 2013 fece sensazione grazie al suo elegante e piccolissimo bar: solo otto posti a sedere, nel cuore di Tokyo. Sin dall’apertura del suo locale, Yamamoto evitava di mescolare il nigori: la parte superiore della bottiglia, più frizzante e delicata, era mescolata con succo di mango; quella inferiore, ricca e cremosa, era combinata con una purea di edamame e nocciola. Ancora una volta, insomma, la palla è in mano ai bartender: il loro talento farà la differenza.
Immagini credits Julie Couder x Coqtail, location MAG La Pusterla – riproduzione vietata