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Cos’è il milk-washing e come si utilizza in mixology

Vuoi modificare la texture di un cocktail senza influenzarne troppo il sapore? La tecnica del milk-washing è la soluzione giusta. Ha molti pro, pochi contro e per questa ragione sta conoscendo una certa fortuna tra chi lavora dietro il bancone di un bar.

Cos’è il milk-washing?

In parole povere, il milk-washing è l’aggiunta di latte intero a uno spirito. Non così come si trova sul mercato e basta: occorre trattarlo ad hoc. La procedura è presto detta: prendere il latte, versarci lentamente un superalcolico a scelta e lasciare riposare per qualche minuto. Poi inserire una soluzione di acido citrico per separare cagliata e siero. Quando questi due elementi si distinguono con chiarezza, utilizzare una centrifuga oppure un filtro per eliminare la cagliata.

Ciò che si ottiene è una miscela di spirito e siero di latte ricco di proteine. Queste ultime si attivano quando un cocktail viene shakerato: in questo modo si modifica la consistenza del drink, rendendola soffice e spumosa.

Come agisce su un cocktail

Come già detto, la caratteristica principale del milk-washing è di agire sulla texture. Anche il sapore ne risente, per quanto in misura decisamente ridotta: le proteine del latte riducono infatti le note astringenti, amare e quelle di tannino.

Per questo motivo è sconsigliato utilizzare il milk-washing con whisky e bourbon, e in generale con gli spiriti invecchiati botte. Non ha molto senso stapparli se poi eliminiamo il panorama organolettico che deriva dal legno. Molto meglio lavorare in associazione con superalcolici bianchi, o anche con infusioni di tè particolarmente forti.

I pro e i contro del milk-washing

Il vantaggio più evidente del milk-washing è che rappresenta un’ottima alternativa all’albume o all’aquafaba. Garantisce il medesimo risultato, in termini di consistenza e schiuma, ma senza effetti collaterali indesiderati: in primis, la difficoltà di pulire gli attrezzi del mestiere (che tendono a restare appiccicosi) e poi il rischio che rimangano cattivi odori. Si capisce come mai i bartender lo scelgano sempre più spesso.

Ci sono però alcune controindicazioni. Intanto, la durata è ridotta: tempo cinque, sei giorni e le proteine del latte perdono la capacità di modificare la texture. Bisogna quindi ripetere il processo in continuazione, senza potersi adagiare su una scorta cospicua.

Inoltre, il milk-washing non viene incontro alle esigenze dei vegani, per i quali resta valida l’opzione dell’aquafaba. C’è dunque il rischio di dovere tenere il piede in due scarpe. E a questo punto potrebbe essere più semplice scegliere la sola aquafaba e poi lavorare di gomito con le pulizie.