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Cosa sono i Fern bar e quando sono nati

Nella lingua inglese fern significa felce, e dunque Fern bar è un locale in cui questa pianta è utilizzata come arredo. O meglio, era utilizzata: è infatti un qualcosa che ha avuto il suo momento di gloria fra gli anni Sessanta e Settanta e che oggi non sembra in grado di ritornare sotto i riflettori.

La nascita dei Fern bar

Il primo Fern bar apre i battenti nel 1965. Il luogo è New York, all’angolo tra la 63a strada e First Avenue, in pieno Upper East Side. Il locale si chiama T.G.I. Friday’s e il padrone di casa è Alan Stillman. Stillman è un giovane venditore di profumi. Non ha esperienze pregresse nel mondo dell’ospitalità e non conosce il mondo dei cocktail. Oggi questo sarebbe un problema quasi insormontabile, ma all’epoca la mixology statunitense era in grossa crisi e l’impreparazione dei bartender non era una questione più di tanto grave.

Il contesto storico

Tutta colpa del Proibizionismo (1920-1933), che aveva assestato un colpo mortale alla qualità dei cocktail e che non era stato seguito dal recupero dei fasti di un tempo. Quanto meno, non subito: perché la qualità torni in primo piano bisognerà attendere gli anni Novanta e la cocktail renaissance. Ma, appunto, Alan Stillman apre il T.G.I. Friday’s nel 1965 e gli anni Sessanta/Settanta hanno rappresentato una sorta di buco nero nella storia della mixology made in USA.

Durante il Proibizionismo si utilizzavano zuccheri e succhi per mascherare il saporaccio dei distillati: difficilissimi da reperire, spesso preparati alla meno peggio. La fine dell’era buia della mixology migliorò la qualità media dei distillati, ma non il gusto degli avventori, cui importava relativamente poco ciò che trovavano nel bicchiere. Quindi i cocktail bar potevano permettersi di spendere poco per gli ingredienti e puntare a massimizzare i profitti.

Il primo Fern bar nasce per le donne

Tornando ad Alan Stillman, nel 1965, oltre a non avere una preparazione specifica non ha nemmeno dei soldi da investire. Per fortuna c’è mamma (le mamme, in questa vicenda, giocano un ruolo fondamentale). È lei a dare al figlio il denaro necessario ad aprire T.G.I. Friday’s. Pare fossero cinquemila dollari: al cambio di oggi un bel gruzzoletto.

Dal canto suo, Stillman ha un asso nella manica. Non sa ancora quanto è buono, l’asso in questione, ma ce l’ha. Il fatto è che in quel momento, a New York City e in tutti gli USA, i bar erano luoghi poco illuminati, non esattamente puliti e frequentati quasi esclusivamente da uomini. Le donne conoscevano il bere come attività sociale, ma la praticavano soprattutto in casa.

Stillman ha in mente un locale che possa attirare il pubblico femminile. Andando a tentoni (non era nemmeno esperto di interior design) aumenta il numero delle luci, dipinge le pareti di azzurro e riempie lo spazio di dettagli domestici: sedie di legno, foto incorniciate, finte lampade Tiffany (quelle vere costano troppo). E ovviamente felci, appese al soffitto o posizionate accanto alle pareti.

Una scommessa baciata dal successo

Evidentemente Stillman aveva fiuto, perché T.G.I. Friday’s esplode: donne giovani e single accorrono a decine, e con loro giungono uomini altrettanto giovani e single. Ha anche fortuna, Stillman, perché arriva in tempo per intercettare la rivoluzione sessuale, con tutto ciò che questo comporta. In base a quanto raccontato da Nicola Twilley sulle pagine del New Yorker, nel giro di pochissimo Stillman deve assumere un portiere per gestire l’ingresso al locale. In men che non si dica altri esercenti fiutano l’affare e nell’arco di otto mesi due nuovi Fern bar aprono nel medesimo quartiere.

Entro l’estate del 1965 la gente in fila al T.G.I. Friday’s è talmente tanta da creare problemi alla viabilità. Così la polizia decide di chiudere alcune vie al traffico di automobili fra le otto di venerdì sera fino a mezzanotte: il momento di massima affluenza. Nel 1967 un secondo T.G.I. Friday’s apre a Memphis e l’esempio di Stillman viene seguito da altre persone pure sulla costa ovest degli States. Per esempio da Norman Jay Hobday a San Francisco, che grazie ai soldi di mamma apre Henry Africa’s e si inventa il Lemon Drop Martini.

Il lato oscuro dei Fern bar

Dunque i Fern bar occupano un posto nella storia della mixology statunitense perché sono i primi locali a rivolgersi specificamente alle donne single e di classe borghese. Il che è un bene.

Il lato oscuro è che questa novità non fu accompagnata da un’analoga rivoluzione intorno alla qualità dei drink, che venivano preparati puntando su ingredienti dolci e cremosi, senza particolare attenzione per la tecnica o le proporzioni, e pensati per bevitori di poche pretese. L’importante era lavorare rapidamente, il resto contava poco o niente. Non era colpa solo dei Fern bar: era il modo di bere degli anni Sessanta e Settanta.

Dopo l’ascesa il declino

Così come i Fern bar avevano avuto successo soprattutto grazie alle contingenze, furono proprio queste ultime a causarne il declino. Già negli anni Ottanta i costumi erano cambiati in modo significativo e la presenza sociale delle donne al di fuori di casa non era più un’eccezione. Di conseguenza il senso ultimo dei Fern bar venne meno. Il colpo di grazia giunse con la già ricordata cocktail renaissance, che riportò in auge i drink preparati con cura e con ingredienti di primissima qualità. Ora la gente voleva bere bene e non era più necessario un tipo particolare di locale per ospitare giovani donne.

I Fern bar vanno dunque seppelliti per sempre? Forse sì, ma non bisogna sottovalutare il potenziale economico della nostalgia: dopo gli speakeasy e i tiki bar, sai mai che tornino pure i locali con le felci. In questo caso bisognerà ripulire le ricette di un tempo, rendendole adatte a un pubblico che ormai bada a ciò che beve.