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Curaçao, cos’è quante tipologie esistono

Oggi è meno diffuso di quanto lo fosse nella seconda metà del XX secolo, ma il curaçao resta un ingrediente che è facile trovare dietro il bancone dei cocktail bar. Soprattutto quelli specializzati in drink esotici, che spesso lo utilizzano nelle versioni colorate di blu e arancione.

Cos’è il curaçao

L’ingrediente principale del curaçao è la scorza di laraha, una varietà di arancia che cresce esclusivamente sui terreni dell’isola caraibica di Curaçao. Siamo nel Mar dei Caraibi meridionale, non lontano dalle coste del Venezuela. Il clima è piuttosto arido e il terreno non è il massimo in termini di nutrienti: di conseguenza, la laraha ha un caratteristico gusto amaro.

Per giungere al prodotto finale bisogna essiccare le scorze del frutto e poi farle macerare in alcol, zucchero e acqua. Dopo alcuni giorni il liquido è filtrato. A questo punto si aggiungono alcune spezie, eventuali coloranti, infine si procede all’imbottigliamento. Non c’è distillazione, motivo per il quale il curaçao rientra nella categoria dei liquorie non delle acquaviti.

Un po’ di storia

Il curaçao è un prodotto caraibico, ma è figlio del colonialismo. Per prima cosa, l’arancio amaro non è una pianta nativa dell’isola di Curaçao: ce la portarono gli spagnoli nella prima metà del XVI secolo. Alcune fonti storiche indicano un anno preciso: il 1527.

Nel 1634, Curaçao passò sotto il controllo della Compagnia olandese delle Indie occidentali. Fra gli azionisti di quest’ultima c’erano le distillerie Bols di Amsterdam. Nell’impossibilità di avere certezze intorno alla nascita del curaçao, una delle ipotesi che incontra maggiore consenso tira in ballo proprio un membro della famiglia Bols. Sarebbe stato Lucas Bols (1652-1719) a intuire le potenzialità della laraha, organizzando l’importazione degli oli aromatici estratti dalle sue scorze e trasformandoli in un liquore.

Le tipologie e i colori del curaçao

La lavorazione odierna del curaçao consente un certo margine di manovra. Per esempio riguardo il numero giorni di macerazione, oppure il tipo e la quantità di spezie, o ancora il tipo/quantità di zucchero. Ogni produttore ne approfitta per dare un tocco unico al proprio liquore e in questo modo distinguerlo da quello della concorrenza.

Caso emblematico è quello del curaçao arancione: il colore è ottenuto attraverso coloranti insapori, oppure botaniche in infusione, o persino grazie all’aggiunta di un pizzico di brandy. Cambiano di conseguenza l’intensità della cromia e il tipo di sapore.

Discorso analogo vale per il curaçao blu e per i meno frequenti verdi e rossi. Soprattutto la versione blu ha conosciuto grande fortuna presso i bartender, in particolare nella seconda metà del XX secolo. Presentava infatti un doppio vantaggio. La prima: era facile da maneggiare, a maggior ragione se il colore proveniva da sostanze insapori, perché non modificava significativamente il gusto dei drink. Inoltre, secondo vantaggio, il curaçao blu colpiva l’occhio in un momento storico nel quale si spingeva molto sui cocktail “spettacolari”. Vedi il caso del Blue Hawaii, del Blue Lagoon e dello Swimming Pool.