All’anagrafe è Fabio Cavagna. Ma per tutti è Benjamin. «Persino mia madre e i miei migliori amici mi chiamano così. Anzi, mia moglie non pensa minimamente di chiamarmi Fabio. Addirittura, in una lettera di mio suocero, leggendo il nome di Fabio, lei esclamò: ma chi è questo Fabio?». Sorride Benjamin Cavagna, il bar manager del 1930. Quel secret private club che tanto secret non è più, dopo il trasloco da via Pasquale Sottocorno a via Edmondo De Amicis: al piano interrato (e comunque un po’ celato) di Mag La Pusterla, una delle insegne del Gruppo Farmily.
La nascita del nickname Benjamin

Intanto, pure il segreto legato al nickname Benjamin è svelato. «Tutti mi vedono così: barba lunga, giacca, cravatta, gemelli. Ma io questo aspetto ce l’ho da quando avevo vent’anni. E nel rinnovo di un contratto di lavoro, il titolare, sorpreso, mi disse: ma tu hai veramente 21 anni? Allora sei Benjamin Button. Devi sperare di ringiovanire come lui, altrimenti sei rovinato», continua ironico mister Cavagna. Evocando quello strano caso narrato da Francis Scott Fitzgerald e portato sul grande schermo da David Fincher, con Brad Pitt come protagonista.
Il curriculum di Benjamin Cavagna

Di certo Benji – classe 1991 e natali affondati nella bresciana Lumezzane – possiede un x factor raro da trovare: una perfetta combo di leggerezza e saggezza, esperienza e curiosità, capacità di guardare indietro e volontà di andare avanti. Il resto? Lo fa il curriculum: studi al liceo delle scienze sociali e una promettente carriera nel Football Club Lumezzane. Dribblata in corner, per iscriversi al corso di laurea in filosofia all’Università Statale di Milano. «Mi mancano ancora due esami. Ma l’importante è il percorso», sostiene lui.
Che, facendo la spola fra il Bresciano e Milano, ha saputo tenere in mano libri e shaker. «A quel tempo lavoravo in due locali molto in voga a Lumezzane. Un distretto industriale che mi ha insegnato tanto, educandomi al bancone. Perché mentre Milano è una città più stratificata, là puoi trovare allo stesso tavolo l’operaio e il figlio dell’imprenditore. E li devi far sentire importanti entrambi. Magari cercando di far capire all’operaio il valore di un certo prodotto un po’ più costoso, e insegnando al benestante, abituato a ordinare solo cose care, che esiste anche qualcos’altro».
L’ingresso al 1930 di Cavagna

Una gran bella palestra. Che prepara Benji al grande salto. «Sì, un giorno incontrai un signore con baffi, cappello e accento francese. Era Flavio Angiolillo, che mi offrì una splendida opportunità: fare gli extra d’estate al Mag, sul Naviglio Grande». Inizia così la sua lunga avventura metropolitana. Presto canalizzata verso il 1930, fondato nel 2013 e divenuto uno degli speakeasy più celebri al mondo, meritando persino l’ingresso nei World’s 50 Best Bars.
«Negli anni siamo riusciti, nel bene e nel male, a tenere nascosto l’indirizzo di via Sottocorno, cercando di non lasciar trapelare il nostro segreto. Ma nella maggior parte dei casi questi cocktail bar misteriosi non lo sono poi così tanto. La categoria è stata spesso travisata e troppo inflazionata. È come quando dicono: questa è la nostra saletta segreta. Che, al momento stesso in cui la presentano, perde già la sua aura di segretezza. Da lì una considerazione: questi locali vanno ancora e hanno ancora senso?».
La nuova location del 1930

Così la decisione, nel gennaio 2025, di trasferire il 1930 al piano inferiore del Mag La Pusterla. Rivelando la geolocalizzazione, ma mantenendo quell’allure di esclusività e riservatezza da sempre ritenuta un must dell’insegna. Ecco allora la scala enigmatica e la porta d’ingresso camuffata. «C’è chi ti viene prendere e ti accompagna», precisa Benjamin.
Solo 193 infatti le tessere concesse agli ospiti più assidui e perseveranti. Una sorta di priority boarding, come all’imbarco di un volo. Un tributo alla fedeltà, mantenuta negli anni. Gli altri? Devono armarsi di pazienza e speranza. Accomodandosi su e attendendo che si liberi un posto giù, nell’ambitissimo salotto. Dove i mattoni a vista sposano marmo e velluto, mentre gli arredi in legno e vimini sussurrano alle luci soffuse, fra specchi, poltrone, divani, tappeti e un jukebox old style. Un luogo intimo, avvolgente e coinvolgente. Come prima e meglio di prima. In una rigenerante rilassatezza e una neonata giovinezza. Anche di Benjamin.
À La Carte, la drink list del 1930

Filosofo e mixologist capace di infrangere le regole e di rompere gli schemi, Benjamin abbatte le barriera fra cucina e miscelazione, dando forma a un menu degustazione che dalle pietanze trae ispirazione: il 1930 À La Carte. Una drink list atipica e unconventional, suddivisa in antipasti, primi, secondi e dolci. A cui si aggiungono gli Unforgettable Cocktails from the Kitchen. Vedi il Parmigiano Colada, gastronomico twist sulla Piña Colada, a base di Parmigiano Reggiano 24 mesi, tartufo nero e rum giamaicano. Esattamente come accadrebbe in un ristorante fine dining. Non a caso il 1930 apre alle 19:30 (per chiudere verso le 2:30). Non a caso dopo il primo drink è facile che il cliente ne ordini un altro, proseguendo nel gustoso itinerario. Non a caso la brigata conta ben cinque persone.
Preparate a un approccio umanistico, antropologico e culturale ai drink. Pronti a sublimare i morsi in sorsi esperienziali. Forieri di ricordi, sensazioni, emozioni e senso di appartenenza a un territorio. Cocktail concettuali, eppur concreti: Hummus, Burro e Alici, Tortellini in Brodo, Cacio e Pepe, Pizza Marinara, Cannolo, Torta Sacher. Complici infusioni e meticolose lavorazioni. «Ma, come fanno spesso gli chef, non riveliamo mai troppo, lasciando alcuni ingredienti segreti», puntualizza il bar manager. Che concede qualche rivelazione: «Può capitare che da noi faccia il suo ingresso un ambasciatore. E poi vengono molte famiglie reali. Quelle vere».
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Immagini credits Julie Couder x Coqtail, riproduzione vietata






