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Drink Masters, com’è il nuovo talent show sui cocktail

Immaginate MasterChef, ma al posto del cibo ci sono i drink: ecco servito Drink Masters – L’arte di un cocktail, in streaming su Netflix dal 28 ottobre di quest’anno. Si tratta ovviamente di un talent show come ormai ce ne sono molti. Proprio per questo fatica a emergere.

Come funziona Drink Masters

Abbiamo concorrenti più o meno ferrati nell’arte della mixology, due giudici esperti (Julie Reiner e Frankie Solarik) e il cabarettista Tone Bell a vestire i panni del brillante presentatore. Ogni tanto ci sono giudici ospiti: i bartender Dale DeGroff e Tiffanie Barriere, lo chef Edward Lee e il pasticciere Gonzo Jimenez (che arriva dal reality Squadra pasticcieri).

Assistiamo alla classica sfida a eliminazione: ogni episodio una prova a tema, qualcuno che rischia l’eliminazione, una sfida tra gli ultimi della classe e i saluti finali a uno dei contendenti. In palio ci sono centomila dollari, che sono una bella cifra e scaldano le rivalità.

La scenografia di Drink Masters

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Natalie Migliarini, Frankie Solarik, Julie Reiner e Tone Bell

L’ambiente richiama quello di MasterChef, con tanto di dispensa dove recuperare gli ingredienti e balconata dalla quale i promossi assistono alle prove di quelli che rischiano di tornare a casa. Ci sono le classiche interviste che intervallano la preparazione dei drink, quelle realizzate in un secondo momento, con un mix di competizione, emotività e sopravvalutazione delle proprie capacità.

Ovviamente ci sono gli interventi dei giudici durante la preparazione, quando vanno a vedere cosa fanno i singoli concorrenti. E via con i dettagli sulle materie prime, gli spiriti, i ralenty, il montaggio che aggiunge ritmo. E il tempo a disposizione che corre e le mani in alto quando i secondi sono a zero. Le immagini esaltano i colori e la presentazione dei cocktail è sensuale e seducente come si conviene. Ma non è propriamente mixology: è la sua versione sotto steroidi. È food porn.

Steroidi e food porn

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È subito evidente dalla primissima sfida: per preparare un Margarita vengono concessi novanta minuti di tempo. Un’enormità. Presto si capisce che Drink Mastersmette sugli scudi le preparazioni più complesse, che fanno ampio uso di tutti gli strumenti di una cucina: fornelli, forni, abbattitori, la qualunque. E allora novanta minuti non sono più così tanti. Si punta a ricette super elaborate, perché i giudici sono stati chiari: “Dovete stupirci con cocktail che non abbiamo mai visto“.

Il verbo “vedere” è centrale. Un cocktail si gusta, ma se sta dentro uno schermo puoi solamente guardarlo. Non a caso i criteri di giudizio adottati dagli esperti sono: gusto, presentazione e creatività. Due su tre sono visivi, adatti allo schermo. Così tutto ciò che sta attorno al bicchiere diventa spesso più importante di ciò che ci sta dentro. Del resto, è ciò che possiamo valutare pure noi da casa. Ed è un atteggiamento propriamente da food porn.

Il termine food porn è nato nella seconda metà degli anni Settanta per identificare fotografie curate all’ennesima potenza, in termini di colori e composizione, allo scopo di “aumentare l’eccitazione e anche il senso di esclusività” delle ricette completate (il virgolettato è di Alexander Cockburn, uno dei primissimi a parlare del fenomeno).

Non potendo mangiare o bere, dobbiamo accontentarci di guardare. E allora tanto vale che la vista sia appagata al massimo. Così in Drink Mastersnon vince il cocktail: vince la sfida, vince l’idea divertente e visivamente d’impatto. Il gusto non conta. Poco importa che i giudici parlino di drink deliziosi oppure sbilanciati: ciò che davvero importa è la vista. Lo sanno gli autori, i registi, i concorrenti. E non ne fanno mistero. Per dieci episodi saranno gli alfieri del food porn.

Il giudizio finale

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Coloro che amano questo tipo di format troveranno pane per i loro denti: il ritmo c’è, il presentatore Tone Bell è bravo, i giudici Reiner e Solarik sanno il fatto loro (anche se non sono completamente a proprio agio davanti alle telecamere). E, naturalmente, la presentazione dei cocktail è effettivamente notevole. Siamo dunque di fronte a una valida declinazione del talent show in modalità cooking.

Il problema maggiore è che arriva a tredici anni di distanza dal debutto di MasterChef, dodici anni dopo quello di Bake Off e in un momento storico nel quale la formula è stata declinata nei modi più vari, anche allontanandosi dal mondo del cibo.

Solo su Netflix ci sono per esempio Flower Fight (sulle composizioni floreali), L’arte soffiata (sulle sculture di vetro soffiato) e Metal Shop Masters (sui fabbri). A Drink Masters manca insomma la novità. Anzi, è forte la sensazione dello spremere il limone finché c’è anche una sola goccia di succo da estrarre.

Immagini courtesy Netflix