Nato nella città di Tequila, in Messico, l’omonimo distillato affonda le sue radici in una tradizione artigianale secolare. Oggi, però, l’impennata della domanda globale ne minaccia la qualità, sempre più sacrificata per correre dietro all’alta richiesta di mercato.
Il mito del Tequila

Dall’alba, a Tequila, la luce filtra tra le piante d’agave come una carezza. L’aria è fresca e rarefatta, e basta salire un po’ sopra il paese – su una delle colline che circondano la valle – per vedere il paesaggio trasformarsi: un mare verde-azzurro che ondeggia al primo soffio di vento. Le agavi sembrano sospese, come se galleggiassero tra terra e cielo. Un gioco di prospettive, certo, ma anche una metafora perfetta: qui, a oltre 1100 metri sul livello del mare, tutto sembra in bilico tra antico e moderno.
La città di Tequila, dove tutto ebbe inizio
La città di Tequila, nello stato di Jalisco, ha poco più di quarantamila abitanti, ma un nome che risuona in ogni angolo del pianeta. Il viaggio da Guadalajara è breve ma simbolico: si lascia la metropoli alle spalle e si entra in un paesaggio dove la terra rossa, i vulcani spenti e le piantagioni di agave raccontano un altro tempo. Eppure, proprio da questo tempo lento nasce un prodotto che oggi corre più veloce che mai. Il tequila ha conquistato il mondo, diventando simbolo di feste, cocktail, lusso. È una delle pochissime bevande che hanno superato la loro origine geografica: se dici “tequila”, pensi al distillato, non al luogo. In questo senso, il caso è persino più estremo dello champagne. Eppure, è qui che tutto comincia.
L’impennata del mercato del tequila

Proprio qui oggi si gioca una partita decisiva: quella tra crescita e sopravvivenza, tra successo globale e identità locale. Nel 2023, secondo Fortune Business Insights, il mercato globale del tequila ha toccato un valore di 11,04 miliardi di dollari. Le stime parlano di quasi 19 miliardi entro il 2032, con un tasso di crescita annuo vicino al 6%. E non si tratta solo di quantità: la qualità percepita è in crescita, e il segmento premium e superpremium – cioè quello delle bottiglie di fascia alta, 100% agave blu Weber, spesso invecchiate – da solo ha generato 7,1 miliardi nel 2023. Il Nord America domina ancora il mercato: gli Stati Uniti rappresentano il più grande consumatore di tequila al mondo, con oltre 1,3 litri pro capite nel 2023. Ma oggi l’espansione più veloce è in Asia, dove cocktail bar, hotel di lusso e cultura della mixology stanno trasformando il tequila in una nuova icona globale.
Dove si produce il distillato
Margarita e Paloma aprono la strada, seguite da reinterpretazioni sempre più sofisticate. Ma dietro l’entusiasmo, c’è un’ombra che si allunga sui campi di Jalisco. A differenza di altri alcolici che si possono produrre in molti luoghi (basta pensare alla vodka o al gin), il tequila è vincolato a una denominazione di origine controllata. Può essere prodotto solo in specifiche aree del Messico. Questo garantisce un certo legame con il territorio, ma significa anche che non si può aumentare la produzione all’infinito. Non basta voler fare più tequila: servono terra, tempo e competenze. E serve rispetto.
Che è penalizzato dalla domanda globale
L’aumento della richiesta globale porta con sé un cambio produttivo, principalmente a discapito dei piccoli produttori, quelli che ancora cuociono le piñas nei forni tradizionali, che fermentano lentamente, che distillano con metodi ancestrali, che arrivano a reputare la distillazione antieconomica e si riducono a essere contadini conferitori per le grandi marche affamate di materia prima. Già, affamate, perché per produrre un buon tequila, ci vogliono pazienza, agricoltura e anni di attesa e il mercato non aspetta. Un’agave blu matura dopo circa sei o sette anni: solo allora è pronta per essere raccolta. I suoi zuccheri sono pieni, complessi, e le sue radici hanno avuto il tempo di nutrirsi del terreno vulcanico. Ma la crescita esponenziale della domanda ha cambiato tutto.
Quantità vs. qualità
Per soddisfare le richieste del mercato globale – e le esigenze di catene, marchi internazionali e star hollywoodiane che lanciano la propria etichetta – si è cominciato a raccogliere l’agave dopo appena quattro anni. Il risultato? Prodotti più poveri di aromi, ma soprattutto un danno profondo al ciclo naturale di crescita della pianta. L’agave è una pianta unica: non si riproduce per semi con facilità e fiorisce una sola volta nella vita, e se parliamo di quella che si può coltivare nella regione di Jalisco, lo spazio non è infinito. Non si può piantare agave ovunque, e nemmeno in ogni stagione. Spingere sul pedale della produzione sta portando a uno squilibrio profondo. Si stanno creando monoculture estensive, con l’uso crescente di pesticidi e irrigazioni artificiali, spesso in aree dove prima si praticava una coltivazione mista, più in equilibrio con l’ambiente. Inoltre, la raccolta precoce riduce la biodiversità genetica delle agavi e aumenta la vulnerabilità a malattie e parassiti.
L’importanza di fare scelte consapevoli e sostenibili

Come in altre storie di successo globale (basta pensare alla soia, al caffè o alla quinoa), la fama improvvisa può diventare una condanna. La domanda globale non è un male in sé. Anzi, può rappresentare un’enorme opportunità per il Messico, per la sua economia e per i suoi territori. Ma solo se gestita con intelligenza. Solo se i marchi grandi e piccoli sapranno investire in sostenibilità, formazione e qualità. Solo se il consumatore saprà scegliere con consapevolezza. Bere un buon tequila non è solo un gesto conviviale. È un atto agricolo, culturale, ecologico. È un modo per entrare in contatto con una terra alta, generosa e fragile, che ha dato il nome a uno dei distillati più celebri del mondo, e che ora ha bisogno di tempo, ascolto e rispetto per continuare a raccontare la sua storia. Per fortuna, ci sono sempre più esempi virtuosi.
Distillerie indipendenti che resistono al richiamo dell’efficienza industriale e continuano a produrre secondo i ritmi della terra, e progetti di selezionatori che lavorano in piccoli lotti, collaborano con gli agricoltori e investono in sostenibilità. Ma molto resta ancora da fare, perché se non si interviene ora, il tequila rischia di diventare vittima del proprio successo. Un prodotto standardizzato, senza legame con la terra, costruito per piacere a tutti e raccontare poco. Una bottiglia bella, ma vuota.
Tratto dal magazine cartaceo di Coqtail – for fine drinkers. Ordinalo qui
Immagini credits Julie Couder location Lubna Milano – riproduzione vietata